Un cristiano ha il dovere di seguire il calendario ebraico biblico e le relative festività?

Maurizio mi ha scritto quanto segue:

Ciao Pietro e complimenti per il tuo blog e gli argomenti trattati. Volevo farti una domanda (che probabilmente ti hanno già fatto) riguardo la continuità tra fede e pratica ebraiche e fede e pratica cristiane; secondo te, un cristiano ha il dovere di seguire il calendario ebraico biblico e le relative festività (intendendo come primo mese dell’anno cioè capodanno il 1° Abib/Nisan).
La seconda domanda riguarda i farmaci, io sono laureato in farmacia e da un po’ di tempo, conoscendo il greco, leggendo alcuni passaggi del Nuovo Testamento in lingua originale mi sento a disagio per gli studi che ho fatto e la mia professione. Infatti ho notato che le parole pharmakoi e pharmakeia di solito sono tradotte in maghi e stregoni e magia e stregoneria (qualcuno ha anche tradotto dediti agli stupefacenti o produttori di stupefacenti) vedi Galati 5:20; Apocalisse 9:21, 18:23, 21:8 e 22:15.
Cosa mi puoi dire in proposito? Grazie e che Dio ti benedica! Maurizio

Grazie a te, per queste domande, caro Maurizio. Tratto la prima in questo post e la seconda in un post successivo.

Maurizio imposta bene la domanda usando la parola “continuità”. C’è continuità tra “fede e pratica ebraiche e fede e pratica cristiane”? Sia chiaro che c’è grande continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Un esempio semplice è che c’è lo stesso Dio. Per noi questa è una cosa ovvia e scontata, ma non lo era per l’eretico Marcione. Ma è altrettanto chiaro che ci sono elementi di discontinuità tra il Nuovo e l’Antico Testamento. Nell’Antico Patto Dio ha ordinato tanti sacrifici. Nel Nuovo il solo sacrificio di Cristo ha adempiuto quei sacrifici e, così facendo, li ha resi obsoleti. Fatta questa premessa, la mia risposta breve alla domanda di Maurizio è: No, un cristiano non ha il dovere di seguire il calendario ebraico biblico e le relative festività. Perché? Perché si tratta di uno dei casi di discontinuità tra i due testamenti.

(Questo post collegato approfondisce il caso specifico.)

Il ragionamento che mi porta a questa conclusione è trovato nel articolo che riporto qua sotto che ho scritto qualche anno fa. In calce c’è anche il link dove scaricare tale articolo in PDF.

Interpretazione dell’Antico Testamento alla luce del Nuovo

L’introduzione della Lettera agli Ebrei enuncia elementi fondamentali per la teologia biblica cristiana. Ecco Ebrei 1:1-3: “1 Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, 2 in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi. 3 Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi.”

Il v. 1 spiega l’importanza della precedente rivelazione divina, in cui Dio aveva parlato anticamente ai credenti del passato. Al v. 2 l’autore mette tale rivelazione preparatoria in rapporto a quella definitiva. Notate la contrapposizione. Da una parte, ‘anticamente’ (v. 1) Dio aveva parlò ‘molte volte’ e ‘in molte maniere’, ‘per mezzo dei profeti’. Dall’altra (v. 2), ‘negli ultimi giorni’ adesso Dio parla invece ‘per mezzo del suo Figlio’. Nell’antico patto c’erano più ‘comunicatori’ della Parola; nel nuovo c’è il Figlio (singolare) e coloro che spiegano il significato dell’arrivo di lui (gli autori del Nuovo Testamento, Matteo-Apocalisse).

Il carattere definitivo della Parola rivelata dal Figlio è indicato dall’espressione negli ‘ultimi giorni’. L’arrivo di Dio, in Gesù Cristo (cfr. Matteo 1:23; Giovanni 1:1, 14; 14:9), sul palcoscenico umano segna il fulcro della storia. Le domande poste dall’antico patto hanno la loro risposta in Cristo. Le profezie veterotestamentarie ottengono il loro adempimento in lui. Le strutture del vecchio trovano la loro vera ragione d’essere nel Figlio, a cui avevano sempre voluto indicare la strada.

Conviene non leggere troppo alla svelta la descrizione del Portatore della rivelazione definitiva, perché la sua identità fa parte integrante della metodologia sia di Ebrei sia dell’intero Nuovo Testamento. Egli è (v. 2) ‘erede di tutte le cose’ e anche il loro creatore. E’ (v. 3) uguale a Dio Padre e sostiene tutto l’universo con la sua potente parola. L’autore di Ebrei spiega il carattere singolare della rivelazione del Figlio parlando della sua identità. In altri termini, di Mosè e dei profeti si possono dire tante cose, ma non queste cose: essi non hanno creato l’universo né lo sostengono. Perciò, pur essendo stati usati grandemente da Dio, erano semplici strumenti umani. Il Figlio invece è Dio incarnato, venuto nel mondo per consegnare il ‘sì’ divino alle attese dell’Antico Testamento. “Infatti tutte le promesse di Dio hanno il loro ‘sì’ in lui; perciò pure per mezzo di lui noi pronunciamo l’Amen alla gloria di Dio” (2 Corinzi 1:20).

Già la vita e l’insegnamento di Gesù fanno conoscere il Padre (Giovanni 1:18). Il Figlio ha vissuto in costante sottomissione e in perfetta armonia con lui (Giovanni 8:29; 1 Pietro 2:22; Ebrei 4:15; cfr. Giovanni 19:6) – precisamente ciò che noi e i nostri progenitori Adamo ed Eva non hanno fatto. Ma tale gioiosa obbedienza ha un punto culminante che, al contempo, compie e simboleggia la devozione totale del Figlio al Padre: la croce. Per questo motivo l’autore di Ebrei mette il tocco finale sul ritratto del Figlio (Ebrei 1:2-3) dicendo che egli (v. 3) ha ‘fatto purificazione dei peccati’. Solo a quel punto è tornato al Padre.

Sia la rivelazione del Figlio sia il suo sacrificio segnano una svolta nella storia della salvezza. Dal suo arrivo, le cose non possono essere più come prima. Quindi, il sacrificio del Figlio adempie l’obiettivo del sistema sacrificale levitico, e nel farlo, lo rende obsoleto. Il sacrificio del Sommo sacerdote per eccellenza viene fatto ‘una volta per sempre’ (Ebrei 7:27; 9:12; 10:10), ponendo fine ai sacrifici animali dell’Antico Patto. Perché tali sacrifici non sono più necessari? Perché ciò che essi simboleggiavano, si è finalmente realizzato nel nuovo patto.

E’ importante notare che il ‘nuovo patto’ di cui stiamo parlando viene profetizzato in Geremia 31:31-34, che l’autore di Ebrei riporta in 8:8-12. Notate che il nuovo patto in questione sarebbe stato fatto con ‘la casa d’Israele e con la casa di Giuda’ (Ebrei 8:8; cfr. Geremia 31:33). Come interprete cristiano, qui constato qualcosa di significativo. L’autore di Ebrei dice che il nuovo patto, profetizzato per Israele, è ciò che noi chiamiamo il cristianesimo. Questo fatto è notevole in sé, perché spiega il modo in cui devo capire il rapporto tra i due testamenti. E l’abbiamo qui nel commento dell’autore di Ebrei (8:13): “dicendo ‘un nuovo patto’, egli [Dio] ha dichiarato antico il primo. Ora, quel che diventa antico e invecchia è prossimo a scomparire”.

L’applicazione di Geremia 31 al nuovo patto ha anche una rilevanza metodologica non indifferente, da cui traggo un principio interpretativo: io devo ascoltare il Nuovo Testamento per capire il senso ultimo dell’Antico. Perché? Perché “la legge…possiede solo un’ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose” (Ebrei 10:1; cfr. 8:15). E quei ‘beni futuri’ (la realtà stessa delle cose) mi giungono per mezzo di Cristo (Ebrei 9:11; cfr. Colossesi 2:17).

Ascoltando il nuovo patto, vengo a sapere che certi concetti biblici dell’Antico Testamento vengono ridefiniti. Vengono ridefiniti perché l’Antico è ombra e promessa, il Nuovo è realtà e adempimento. Pensate, per esempi, al concetto di ‘riposo’.

In Giosuè il riposo è quasi un sinonimo per gli Israeliti collocati nella terra promessa sotto la benedizione del Signore. Infatti l’autore introduce il discorso d’addio del grande successore di Mosè commentando (Giosuè 23:1): “Molto tempo dopo che il SIGNORE ebbe dato riposo a Israele liberandolo da tutti i nemici che lo circondavano, Giosuè, ormai vecchio…”. Gli Israeliti si trovano, finalmente in quella terra, promessa ad Abraamo e alla sua discendenza (Genesi 12:7), non più vessati dagli Egiziani né (più di tanto) dai popoli di Canaan. Per questo motivo l’autore di Giosuè dice che hanno ricevuto il riposo del Signore.

L’Antico Testamento parla del riposo anche in un brano cruciale per la teologia biblica, quello che racconta il cosiddetto patto davidico (cfr. 2 Sam 7:1, 11). Ciononostante, è proprio rifacendosi all’esperienza di Giosuè e alle parole di Davide che l’autore di Ebrei spiega il senso più profondo del riposo di Dio (Ebrei 4:1-11). Il riposo di Dio dell’antico patto rappresentava la salvezza eterna del nuovo.

L’autore di Ebrei inizia il cap. 4 dicendo che (v. 1) “la promessa di entrare nel suo riposo è ancora valida”. E’ vero, dice, che Dio aveva giurato che quelli della generazione del deserto non vi sarebbero entrati (Ebrei 3:7-19). Ma questo è successo a causa della loro incredulità e disobbedienza (3:18-19), non a causa di una mancata disponibilità da parte di Dio. Anzi, il riposo di Dio era stato allestito già il settimo giorno della creazione (Ebrei 4:3-4; Genesi 2:2). Ma le lettrici e i lettori della Lettera agli Ebrei avrebbero potuto obiettare: ‘D’accordo, la generazione del deserto, fatta eccezione Giosuè e Caleb, non è entrata nel suo riposo; ma quelli sotto Giosuè, sì.’ Avrebbero anche avuto ragione, giusto?

Magari sì, all’interno della porzione della storia della salvezza raccontata in ciò che chiamiamo l’Antico Testamento. Ma l’Antico Testamento, volutamente, è un racconto incompiuto. Leggerlo senza riferimento al Nuovo è come leggere soltanto i primi capitoli di un romanzo o solanto i primi capitoli dei vangeli. Se leggete i vangeli fermandovi alla crocifissione, capirete ben poco del cristianesimo. Gesù non è rimasto nella tomba, piuttosto ha vinto la morte risorgendo dai morti. E il fatto non trascurabile della risurrezione getta una nuova luce su tutti i capitoli precedenti di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Il “filtro” della risurrezione è indispensabile per una retta comprensione della vita nonché della morte di Gesù di Nazaret.

L’annuncio angelico all’inizio di Matteo (1:21), secondo cui il bambino di nome Gesù avrebbe salvato “il suo popolo dai loro peccati”, sarebbe incomprensibile senza la risurrezione. Pietro dice che la risurrezione è una prova dell’identità messianica di Gesù (Atti 2:24, 36). Ebrei dice che è il carattere indistruttibile del nostro Sommo Sacerdote che lo rende capace di salvarci per sempre (Ebrei 7:15-16, 22-25; cfr. 13:20).

In modo analogo Ebrei insegna che dobbiamo leggere tutto il Libro (Genesi-Apocalisse) per capire il senso ultimo della rivelazione anteriore (l’Antico Testamento). Nel caso specifico, alla luce del nuovo patto, ciò che veniva chiamato giustamente ‘riposo’ nell’Antico Patto impallidisce rispetto alla realtà che rappresentava. Questo è il motivo per cui Ebrei può fare la seguente affermazione (4:8): “se Giosuè avesse dato loro il riposo, Dio non parlerebbe ancora d’un altro giorno”. Questo vuol dire che, secondo Ebrei, non c’è stato riposo nell’ingresso della terra. ‘Ma, non ho capito, Pietro. Giosuè ha dato riposo al popolo? Caspita, c’è scritto nella Bibbia in Giosuè 23:1’.

Quale è il punto? Ora, alla luce di ciò che la vita nella terra promessa simboleggiava (ombra), quel riposo non era ‘riposo’ nel senso ultimo del termine – secondo il Nuovo Testamento. Come interprete cristiano, devo finire di leggere il racconto, sennò mi rifaccio a una storia monca. Pur in modi molto differenti, sia il giudaismo (a partire dal I secolo) sia l’islam hanno provato a finire il racconto veterotestamentario. Ma l’Antico Testamento non viene capito rettamente alla luce del Corano (= l’islam). E l’Antico Testamento non torna come una “recita teatrale” di un solo ‘atto’ (= il giudaismo). La rivelazione divina ha due ‘atti’ e il primo (AT) riceve la sua pienezza, solo quando è visto attraverso l’ottica del secondo (NT). Infatti l’unica “continuazione” ispirata e autorevole dell’Antico Testamento è il Nuovo.

L’autore di Ebrei dice che, alla luce della rivelazione definitiva del Figlio (Ebrei 1:2), le parole di Davide nel Salmo 95:7 (cronologicamente successive al libro di Giosuè), ridefiniscono il riposo di Giosuè. Ne segue, che la benedizione nella terra non era un fine a se stesso, bensì un simbolo del riposo che Cristo avrebbe offerto nel nuovo patto.

Ora notate, in Ebrei 4:9, la ridefinizione di altri due concetti veterotestamentari: “9 Rimane dunque un riposo sabatico per il popolo di Dio; 10 infatti chi entra nel riposo di Dio si riposa anche lui dalle proprie opere, come Dio si riposò dalle sue. 11 Sforziamoci dunque di entrare in quel riposo, affinché nessuno cada seguendo lo stesso esempio di disubbidienza.”

Palesemente il tema del riposo in Ebrei 3-4 corrisponde alla salvezza eterna. Perciò, il ‘riposo sabatico’ di 4:9 segnala una ridefinizione di un concetto importantissimo dell’Antico Patto. L’osservanza del sabato fa parte del decalogo (Esodo 20:8-11), e la sua non-osservanza comportava la pena capitale (Esodo 31:14-15; 35:2). Ma il riposo che l’israelita antico godeva nel sabato non era un fine a se stesso. Esso (ombra) illustrava una realtà che è sperimentata pienamente solo in Cristo.  Lo sappiamo dal modo in cui il ‘riposo sabatico’ di Ebrei 4:9 funge da sinonimo per la salvezza in Cristo. E lo sappiamo anche da un passo che conosciamo bene, ma che forse finora non abbiamo collegato al sabato veterotestamentario.

Non è un caso che Matteo premette al racconto in cui Gesù si dichiara “signore del sabato” (12:8) un brano in cui Gesù promette il riposo definitivo a chi accoglie lui. Inoltre i vocaboli impiegati sono usati spesso nella resa greca (la Septuaginta) dell’Antico Testamento ebraico, in certi brani che parlano del riposo sabatico. Ne riporto uno per fornirvi il vocabolo che servirà nel considerare il passo di Matteo. Esodo 31:15 (Nuova Diodati): “il settimo giorno è sabato [ebraico shabbat; greco sabbata] di riposo [eb. shabbaton; gr. anapausis], sacro [eb. qodesh; gr. hagia] all’Eterno”.

Matteo 11:28-30: “28 Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo [anapauo]. 29 Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo [anapausis] alle anime vostre; 30 poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.”

I farisei si erano costituiti come una sorta di polizia spirituale (12:2) probabilmente rendendo difficile la vita a più persone. Nella controversia sul sabato raccontata in 12:1-8 Gesù spiega che la loro conoscenza della volontà di Dio manca di qualche elemento importante, tra cui l’esistenza di una gerarchia di importanza nella legge e la necessità della misericordia. Ma Gesù dice anche di essere il ‘punto del sabato’ (la mia parafrasi di 12:8). E cosa dava il sabato all’Israelita antico? Il riposo. E che cosa promette Gesù, se la persona accetta lui? Ecco la mia parafrasi: ‘Io (11:28) vi darò il riposo (anapauo)definitivo di Dio. In me, troverete il riposo (anapausis) che i farisei non hanno e non permettono agli altri di avere.’ Il fatto che Matteo impiega il sostantivo in questione (anapausis) e il verbo affine (anapauo) contribuisce a confermare un’interpretazione che è già chiara nel testo italiano. In Gesù il sabato viene ridefinito.

L’altra cosa che Ebrei 4:9 ridefinisce non potrebbe essere più chiara. Riporto nuovamente il versetto: “rimane dunque un riposo sabatico per il popolo di Dio”. Per chi rimane tale riposo? Per me e per te. Allora, chi siamo noi? Il popolo di Dio. Il popolo di Dio è stato redefinito. Potete leggere anche 1 Pietro 2:9-10; Matteo 21:43; Efesini 2:14-16; Filippesi 3:3; Romani 2:25-29 e Apocalisse 3:9 (cfr. Galati 6:16; Giacomo 1:1). Ne segue che io traggo la mia identità non dalla mia nascita fisica (come ebreo o come non-ebreo), bensì da quella spirituale. Sono nato di nuovo nell’epoca del nuovo patto per fede del messia lungamente atteso da Dio, Gesù Cristo.

Inoltre, aspetto la nuova Gerusalemme (Apocalisse 21:1-3). Sì, quella nuova. Gesù promette che i suoi veri seguaci (Matteo 5:5) “erediteranno la terra”. Ma quale terra? Non credo che qui Gesù intenda la terra promessa fisica dell’Antico Patto, ma ciò che Paolo esprime altrove in modo iperbolico: (1 Corinzi 3:22): “il mondo, la vita, la morte, le cose presenti, le cose future, tutto è vostro!” Perché io bramo la nuovaGerusalemme? Perché la “Gerusalemme del tempo presente” è “schiava con i suoi figli. Ma la Gerusalemme di lassù [quella nuova] è libera, ed è nostra madre…. Perciò, fratelli [e sorelle], noi non siamo figli della schiava, ma della donna libera” (Galati 5:25-26, 31).

Abraamo e la sua discendenza avevano ricevuto la promessa della terra. L’ingresso nella terra è venuto secoli dopo con Giosuè. L’autore di Ebrei intravede un significato profondo nel fatto che i primi tre patriarchi (Abraamo, Isacco e Giacobbe) non hanno vissuto nel periodo del possesso della terra. Infatti egli spiritualizza la loro esperienza, poi la generalizza, applicandola a tutti quelli che vogliono avere un orientamento ‘geografico’ biblico. Leggendo l’autore di Ebrei, notate che un posto geografico terreno non gli interessa pur minimamente.

Ebrei 11:8-10, 13-16: “8 Per fede Abraamo, quando fu chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava. 9 Per fede soggiornò nella terra promessa come in terra straniera, abitando in tende, come Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, 10 perché aspettava la città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio…. 13 Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra. 14 Infatti, chi dice così dimostra di cercare una patria; 15 e se avessero avuto a cuore quella da cui erano usciti, certo avrebbero avuto tempo di ritornarvi! 16 Ma ora ne desiderano una migliore, cioè quella celeste; perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, poiché ha preparato loro una città.”

Quale che sia l’interpretazione corretta di Romani 9-11, un passo complesso e dibattuto, esso non ha alcun legame palese con la terra. Nell’antico patto c’era l’obbligo per l’ebreo maschio di visitare Gerusalemme per le grandi feste, un movimento centripeta, verso il centro, Gerusalemme. Nel NT Gesù comanda i suoi discepoli a fare un movimento centrifuga(lontano dal centro), a partire da Gerusalemme (Matteo 28:18-20; Atti 1:8; cfr. 8:1; 28:24-28) per evangelizzare le nazioni. Scelgo di seguire il comando e di onorare l’enfasi di colui che “mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Galati 2:20). Solo lui può vincolare la mia coscienza e non l’interpretazione di avvenimenti attuali (e degli ultimi decenni) da parte dei miei fratelli e delle mie sorelle in Cristo. O, se volete, con i pronomi volti al primo singolare (di Ebrei 12:22, 24): io mi sono invece avvicinato al monte Sion, alla città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste,… a Gesù, il mediatore del nuovo patto. E di quella città celeste e di quel Mediatore meraviglioso, il mio cuore è soddisfatto, perché in lui ha trovato il riposo eterno.

Questo articolo, “Interpretazione dell’Antico Testamento alla luce del Nuovo”, è scaricabile in PDF in Risorse.

4 Risposte a “Un cristiano ha il dovere di seguire il calendario ebraico biblico e le relative festività?”

  1. Grazie Pietro, sei stato gentilissimo a rispondere alla mia domanda così presto e in maniera così ricca, completa. Dato che ero molto impaziente di sentire la tua opinione, mi sono messo subito a leggere attentamente la tua risposta e mentre la leggevo andavo a guardare nei nei vangeli. Ho così (ri)scoperto dei passaggi sui quali precedentemente mi ero soffermato poco ma che alla luce della tua spiegazione mi hanno colpito.

    I versetti sono questi:

    Giovanni 4:23-24. Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché tali sono gli adoratori che il Padre richiede. Dio è spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità.

    Matteo 5:17-18. Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.

    Giovanni 19:20. “Tutto è compiuto”

    In particolare è possibile riferire “tutto sia compiuto” di Matteo 5 a “Tutto è compiuto” di Giovanni 19:20?

    Ti ringrazio ancora tanto e ti auguro buona domenica.

    Maurizio

    1. Ciao Maurizio, direi che i due casi di “compimento” (in Matteo 5 e Giovanni 19) sono abbinabili in questo senso. Entrambi mettono in evidenza che l’arrivo del Messia e la sua opera, di adempiere la legge (Matteo 5) e di soddisfare ciò che richiedeva (Giovanni 19), portano al punto culminante del piano di Dio e della sua svolta epocale. In questa ottica sono da leggere tanti versetti tra cui i seguenti: Colossesi 1:13-20; Efesini 1:7-10; e Ebrei 1:1-3.

  2. Salve sig. Ciavarella, leggendo la scrittura di Colossesi 2:17 ho notato che la Nuova Riveduta si differenzia rispetto alla Nuova Diodati.
    La NR preferisce tradurre la parola μελλόντων (mellònton) al passato: “che sono l’ombra di cose che dovevano avvenire; ma il corpo è di Cristo”.
    Mentre la ND preferisce tradurre lo stesso termine al presente:” queste cose sono ombra di quelle che devono venire; ma il corpo è di Cristo”.
    La domanda che mi sono posto è: ma queste “cose” (di cui le festività ebraiche erano un’“ombra” o una figura) erano già avvenute o erano ancora future?
    Controllando il testo greco ho appurato che la parola μελλόντων (mellònton) è al presente e non al passato. Quindi sembra che tali “cose” non erano ancora avvenute o adempiute, ma erano ancora future.
    Anche le traduzioni interlineari della San Paolo e del pastore Arnaldo Vianello traducono al presente.
    A questo punto sono curioso di conoscere il suo punto di vista su quale sia la corretta traduzione di questo versetto.
    La ringrazio!

    1. Ciao Marco, grazie del tuo commento. Risponderò alla tua domanda nel post successivo che sarà intitolato
      La traduzione di Colossesi 2:17: le cose che dovevano o che devono venire?

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